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Cingolani: “Nucleare? Mai detto di fare centrali contro il referendum”

Il ministro della Transizione ecologica interviene in audizione alle commissioni Ambiente di Camera e Senato e parla di nucleare e risultati della Cop26 di Glasgow

Pubblicato:07-12-2021 12:29
Ultimo aggiornamento:07-12-2021 14:07

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ROMA – “Io non ho mai detto ‘mettiamo le centrali nucleari contro il referendum'”, perché “oggi non si può fare, non ci sono ancora i piccoli reattori modulari né quelli a fusione, e non voglio fare la I e II generazione“. Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, lo dice rispondendo alle domande nel corso dell’audizione alle commissioni riunite Ambiente di Camera e Senato. “Vorrei sgombrare il campo: non faccio il divulgatore né faccio più lo scienziato, faccio il ministro e proprio perché so che quello che dico ha un peso ho detto certe cose”, spiega Cingolani.

“Stanno accadendo alcune cose, ci sono investimenti nello sviluppo di piccoli reattori nucleari modulari e sulla fusione, dove c’è un’accelerazione”, ricorda il ministro, “non vogliamo guardarle? Non ho problema, non sarò ministro quando sarà presa questa decisione”. Poi “c’è stato il referendum, ho votato anche io ma ha vietato alcune tecnologie trenta anni fa, oggi ce ne sono altre, potrebbe valere la pena di farsi domande? Ci sono gli Small modular reactor che Bill Gates sta mettendo in Romania, il Parlamento vorrà fare qualche ragionamento, potrà farlo? Il Paese deve studiare tutto, ma non lo dico perché sono un divulgatore o uno scienziato”, conclude il ministro.


In Italia “stiamo facendo una rivoluzione per trasformare in rinnovabile l’energia elettrica raddoppiando quella che abbiamo – ricorda Cingolani- Il problema è che nel consumo totale di energia del Paese l’elettricità è circa un terzo della nostra primaria, e dovremo fare sforzo molto grande”. Ciò detto, “l’area dei tetti disponibile in Italia per il fotovoltaico è dieci volte inferiore a quella che servirebbe e gli accumulatori non ci sono“, quindi “noi stiamo guardando in prospettiva”.

Però, prosegue il ministro, “fino al 2030 possiamo dire che siamo tutti d’accordo, l’obiettivo condiviso è 72% di elettricità da rinnovabili al 2030 e non è negoziabile, o non ha senso il passaggio all’elettrificazione. Ma sul dopo, dobbiamo guardare qualche numero – puntualizza il titolare del Mise – io non ci sarò ma ho qualche dubbio che un Paese che oggi vale circa 1800 TeraWattora all’anno, 300 TWh di elettricità tutto il resto di primaria, e che continuerà a crescere, tra riduzione perdite e migliore efficienza un migliaio di TWh in più li dovremo fare”. Questo volume “a tecnologia vigente oggi lo potresti fare solo con eolico e fotovoltaico, ma mancano gli accumuli, probabilmente per fare un po’ di più potrebbe esserci altro”. Ma, si sofferma Cingolani, “gli energy mix li decidono gli Stati, li decidono i Parlamenti. Io non ho mai detto mettiamo la centrale nucleare contro i referendum”.

“ORGOGLIOSI DEI RISULTATI DELLA COP26 DI GLASGOW”

La Cop26 di Glasgowha raggiunto risultati buoni” e “non è particolarmente utile speculare sul fatto che sia stata un successo o meno”, perché è “fuori di dubbio che si sia trattato un momento importante per la comunità internazionale“. Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, lo dice in audizione alle commissioni riunite Ambiente di Camera e Senato sulla partecipazione dell’Italia alla conferenza sul clima dell’Onu e sugli esiti dei negoziati. A Glasgow, spiega il ministro, è stato possibile “discutere dei problemi e delle soluzioni per affrontare il cambiamento climatico” sulla base di un “percorso politico diplomatico disegnato dall’Italia che aveva la presidenza del G20“. Ciò detto, “siamo orgogliosi dei risultati raggiunti ma consapevoli dell’enorme lavoro da portare avanti”, sottolinea il titolare del Mite.

Il Patto sul clima di Glasgow, esito della Cop26, “delinea il processo per accelerare l’ambizione sulla mitigazione, l’adattamento, le perdite e i danni, e la finanza per il clima“, prosegue il ministro della Transizione ecologica. Un risultato però “ritenuto insoddisfacente da Paesi più vulnerabili che vedono alzarsi il conto degli eventi estremi del cambiamento climatico” e “indebolito” sulle decisioni per l’uscita dalle fonti fossili “da interventi dell’ultimo minuto”, come la mossa dell’India sul carbone, “ma segna la strada”.

LE CRITICHE PER I MANCATI FONDI AI PAESI POVERI

Cingolani ricorda che nel 2009 alla Cop15 di Copenhagen i Paesi avanzati si erano impegnati a mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno a favore di quelli a basso reddito, “i fondi dovevano essere raccolti dal 2015, quindi siamo in ritardo da sei anni“, non avendo trovato l’accordo nemmeno alla Cop26 di Glasgow e fermandosi prima di quella soglia. Per quanto riguarda i percettori “si tratta di almeno un centinaio di Paesi al mondo che sono vulnerabili“, ricorda il ministro. “Questi 100 miliardi di dollari devono servire come leva per il fundraising”, mobilitando risorse private, e “si parla di trillion, di mille miliardi, per interventi che sarebbero necessari per livellare o abbattere diseguaglianze importanti”.

Quindi “il fatto di non aver raggiunto i 100 miliardi è doppiamente negativo, siamo arrivati vicino a 100 promettendo di raggiungerli l’anno dopo e inoltre ritardando il fundraising”, ribadisce il ministro. “I 100 miliardi andavano raggiunti, tutti sanno che c’è stato il Covid di mezzo“, prosegue il ministro, ma per quanto riguarda chi dovrebbe versarli “stiamo parlando dell’80% del Pil del pianeta, cifre enormi, si poteva fare”. Questo fallimento “credo che abbia drammaticamente riportato l’attenzione e si dovrà fare un maggiore sforzo”, perché “siamo di un fattore dieci volte sotto” l’ambizione necessaria, segnala Cingolani, e quando l’accordo finale punta al 2025 per raggiungere i finanziamenti indicati tocca “il punto più debole” dal quale “deriva quella sensazione di scarsa credibilità”.


Il fatto è che “senza i Paesi vulnerabili la sfida climatica rimane monca” perché “non può essere un impegno solo dei Paesi più ricchi”, anche perché si tratta di comunità che “pagano le conseguenze del mutamento climatico senza averlo creato”, ricorda il ministro, parlando “dell’unico punto di dispiacere” degli esiti della Cop26, anche alla luce dell’impegno messo in campo dall’Italia e dal presidente del Consiglio Mario Draghi.

“YOUTH4CLIMATE OGNI ANNO, LA PROSSIMA IN ITALIA”

Dopo l’esperienza di quest’anno, e la decisione in questo senso presa alla Cop26 di Glasgow, “organizzeremo la Youth4Climate ogni anno prima della Cop“, annuncia Cingolani. Per questo “stiamo costruendo un accordo con le Nazioni Unite e una volta che verrà stabilito il format migliore lo seguiremo”. Ciò detto, “probabilmente l’anno prossimo la faremo in Italia, perché i tempi sono abbastanza stretti, ma è il classico appuntamento che può essere itinerante e vedremo come svilupparlo. Il Mite continuerà a lavorare nel solco tracciato dalla Youth4Climate”, segnala il ministro, “per accrescere la partecipazione dei giovani in tutti i forum internazionali che affrontano le sfide del clima, garantendo formazione, opportunità di incontro e di dibattito, e supporto per l’individuazione di nuove idee”.

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