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Ucraina, calzini verde speranza alla clinica numero cinque

La storia di Anzhelika e Iryna, felicità senza confini in tempo di guerra

Pubblicato:02-07-2024 09:06
Ultimo aggiornamento:02-07-2024 09:06

Ucraina
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ROMA – “La felicità non ha confini” sussurra Anzhelika Volonits, vestaglia celeste, mamma da poco più di un mese. “È nata il 25 maggio, con un’operazione di emergenza, qui alla clinica numero cinque di Odessa; è stata quattro settimane in rianimazione ma si è salvata, grazie alle incubatrici mobili e ai dottori: io non smetterò mai di ringraziarli”.

La felicità non ha confini perché le bambine non conoscono né la politica né la guerra. Anzhelika invece sì, entrambe, sulla propria pelle, come tanti in Ucraina. Prigionieri e prigioniere, che qualche volta hanno una seconda opportunità. “Lavoravo come medico all’ospedale militare di Mariupol” ricorda questa neo-mamma di 32 anni, le parole lente, un sorriso a suggerire forse quel che avrebbe potuto essere e quel che è stato. “Il 12 aprile 2022, dopo che la città era stata presa dai russi, sono stata fatta prigioniera nell’ospedale e poi trasferita nello scantinato di una fabbrica” dice Anzhelika. “Sono stati 11 mesi terribili: mi accusavano di essere una spia e di stare dalla parte del Battaglione Azov; poi una mattina, era il 7 marzo, mi hanno detto che c’era un regalo per me: per la festa della donna, il giorno dopo, non ho capito perché”.

Un sacchetto sulla testa e via, non farti più vedere. Con altre due compagne di prigionia, Anzhelika se n’è andata, lasciando dall’altra parte del confine i genitori, che di lei in quegli 11 mesi non avevano saputo più nulla. Il padre è ancora a Krinichnoe, nella regione di Donetsk che è sotto il controllo russo. “Avevo amici e qualche parente a Odessa, sentivo questa città come più vicina di tutte le altre” ricorda Anzhelika. “Sono arrivata qui ed è qui che conosciuto il padre di mia figlia”.


Alle spalle dei grattacieli che guardano i lidi sul mar Nero, in via Marshala Hovorova, la numero cinque è una delle sei cliniche materne di Odessa. I bambini nascono nonostante gli allarmi per i raid missilistici e i blackout elettrici grazie ai generatori e alle incubatrici mobili. “Le portiamo giù nel rifugio quando suonano le sirene, anche più volte al giorno” spiega il direttore dell’ospedale, Ihor Shpak. “Giù c’è spazio per oltre 150 persone, tra personale e pazienti, con anche la sala operatoria, i compressori per l’ossigeno e le incubatrici”.

Secondo Shpak, a Odessa prima dell’offensiva russa del 2022 nascevano circa 11mila bambini l’anno mentre ora il numero non supera i 6.500. “Sarebbe però ancora più basso se non ci fosse il supporto delle organizzazioni umanitarie e di Paesi amici” sottolinea il direttore: “Riceviamo finanziamenti da Usaid, l’agenzia del governo americano, e poi contributi per le medicine, il materiale sanitario e le incubatrici mobili da Unfpa, il Fondo dell’Onu per la popolazione”. La solidarietà delle Nazioni Unite salva la vita dei neonati, anche se non cancella l’incertezza per il futuro, lo stress causato dal conflitto o la separazione delle famiglie, con un servizio militare di fatto a tempo indeterminato, anche per giovani che hanno appena compiuto 25 anni.

Eppure la felicità può essere senza confini. Lo sa la madre di Anzhelika, che per stare accanto alla nipotina è arrivata a Odessa aggirando la linea del fronte. E lo sanno Iryna e Volodymyr Bahaiev, che nella clinica numero cinque occupano la stanza accanto. Mostrano orgogliosi il loro bimbo e poi, è un attimo, lo lasciano sul letto. Il papà ha dieci giorni di permesso prima di tornare in trincea. Il piccolo tiene le gambette all’insù e mostra calzini verde speranza.

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