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Mali, la Corte dell’Aia condanna l’ex miliziano noto per le violenze sulle donne

Al-Hassan era a capo della polizia islamica vicina ad Al-Qaeda ed è accusato di torture, riduzione in schiavitù e matrimoni forzati

Pubblicato:27-06-2024 17:39
Ultimo aggiornamento:27-06-2024 17:39

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ROMA – La Corte penale internazionale ha condannato uno dei leader vicini al movimento armato del Mali collegato ad Al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), per abusi e torture commesse tra il 2 aprile 2012 e il 29 gennaio 2013 su donne e prigionieri nella città di Timbuctu.

Secondo l’accusa, Al-Hassan Ag Abdoul Aziz Ag Mohamed Ag Mahmoud ha agito come capo de facto della “polizia islamica” collegata ad Aqmi, all’interno di una prigione nella cittadina desertica del Mali settentrionale. In quel periodo il suo gruppo, Ansar Dine, controllava quella regione e governava applicando una versione fondamentaliste della legge islamica. Tra gli altri reati contestati, l’ex combattente è accusato anche di violenza sessuale, sfruttamento della prostituzione, riduzione in schiavitù sessuale e matrimoni forzati. Si tratta di reati che si configurano come crimini di guerra e contro l’umanità, sui cui la Corte penale con sede all’Aia è competente. Nel corso del processo, aperto quattro anni fa, si è parlato in particolare delle violenze compiute sulle donne, che una volta incarcerate subivano arresti e violenze.

I GIUDICI: “CONDANNATE LE AZIONI DI UN UOMO, NON LA SHARIA O L’ISLAM”

Come si legge sul portale web della Corte, i giudici chiariscono: “Sebbene Al-Hassan lavorasse per un gruppo che affermava di applicare la Sharia islamica (la legge islamica, ndr), questo processo non riguarda la Sharia, o la religione musulmana in generale” bensì “gli atti e la condotta di un uomo, il signor Al-Hassan, che agiva in un contesto specifico. La Corte ha esaminato le prove per accertare se la responsabilità del sig. Al-Hassan vada confermata oltre ogni ragionevole dubbio”.
La condanna è stata emessa all’unanimità, e ora Al-Hassan dovrà attendere la sentenza, che potrebbe comportare l’ergastolo. I legali avranno poi 30 giorni per l’appello.


DALLA GUERRA CIVILE AI COLPI DI STATO

Nel 2012 in Mali è iniziata una guerra civile che ha visto l’esercito confrontarsi contro i separatisti tuareg, che ha portato anche alla diffusione di vari gruppi armati, alcuni dei quali di orientamento jihadista.
A partire dal 2013 sono arrivati anche contingenti stranieri a sostenere l’esercito nazionale, tra cui quelli francesi dell’operazione Barkhane.
Sono seguiti diversi accordi di pace, che non hanno retto. Infine, tra il 2020 e il 2021 l’esercito ha condotto due colpi di Stato, guidati dal colonnello Assimi Goïta. La giunta ha imposto a Parigi il ritiro delle truppe, ha lasciato la Task force regionale ‘G5 Sahel’ e a gennaio ha annunciato l’uscita dall’Organizzazione degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas), costituendo l’Alleanza dei paesi del Sahel con altri due paesi interessati da golpe: Niger e Burkina Faso.

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