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Civiltà nuragica sarda grande patrimonio (inespresso)

Focus del Crenos: "Ancora lontanaa la giusta dignità e rilevanza culturale, identitaria ed economica"

Pubblicato:07-06-2024 19:22
Ultimo aggiornamento:07-06-2024 19:22
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CAGLIARI – Un grande patrimonio, potrebbe esserlo anche dell’Unesco, ma in gran parte ancora inespresso. Anche dal punto di vista economico. Questo il focus nel 31esimo report del Crenos, il Centro ricerche economiche delle università isolane, sull’era nuragica, uno dei periodi più rilevanti e caratterizzanti della storia e della cultura della Sardegna, i cui numerosi monumenti giunti sino ad oggi rappresentano un tratto diffuso, riconoscibile e distintivo dei paesaggi di tutta l’isola.
“Nonostante la sua pervasività, la civiltà nuragica non sembra però aver ancora ottenuto la giusta dignità e rilevanza culturale, identitaria ed economica”, è specificato. Nei programmi e nei testi scolastici, ad esempio, lo spazio dedicatole è marginale, “quando non assente, soprattutto se paragonato a quello riservato alle altre grandi civiltà antiche. Così come la storia della civiltà nuragica, anche la sua eredità è poco conosciuta: una recente indagine di Oc&c-Eumetra, ha rilevato come il 47% degli italiani non conosca i monumenti della civiltà nuragica”. Una percentuale che, nel caso degli under 24, raggiunge il 74%. La stessa indagine rivela inoltre il basso impatto a livello economico delle risorse archeologiche. Queste attraggono in Sardegna in alta stagione una percentuale di turisti del 5,2%, mentre le risorse naturali, coste e mare in primis, attraggono il 63,5% dei turisti.
Nel portafoglio prodotti dell’offerta turistica isolana, la quota del turismo culturale e archeologico è pertanto ancora molto ridotta, in particolare se confrontata con quella del turismo marino-balneare.
Un dato su tutti: complessivamente i 22 monumenti fruibili e affidati in gestione registrano 6,1 milioni di euro di ricavi e impiegano circa 150 addetti. Tra i 22 siti, sono 17 quelli che possono contare su un contributo regionale (circa 4 milioni di euro complessivi) a copertura delle spese relative al personale. “L’analisi dei risultati economici e delle performance fa emergere la coesistenza di modelli di gestione molto differenti tra loro in relazione alla capacità di costruire e proporre offerte culturali in grado di attrarre domanda e di creare valore”. Si osservano spesso modelli di business di tipo tradizionale “incentrati su un’offerta base (ingresso e visita guidata, offerta nella totalità dei casi) a basso valore aggiunto, scarsamente orientati al mercato turistico e non inclini allo sfruttamento di possibili ulteriori opportunità di investimento”.
Emerge poi “una scarsa e insufficiente collaborazione con gli operatori della filiera culturale e turistica (solo il 23% ha formalizzato accordi commerciali) necessaria per la costruzione e commercializzazione di offerte composite che includano servizi e prodotti complementari come laboratori, attività esperienziali in genere, ristorazione e ricettività. Nella fruizione è insufficiente l’innovazione e il ricorso alle nuove tecnologie come, ad esempio, realtà aumentata o applicazioni per dispositivi mobili (assenti nel 73% dei casi)”.
Inoltre, “è possibile che le basse tariffe di ingresso (mediamente 5,3 euro), così come la durata della visita- raramente superiore all’ora- rivelino uno scarso valore dell’esperienza. Non certo rispetto alla qualità di ciò che viene visitato, quanto alle modalità di fruizione e ad un’offerta povera di contenuti esperienziali”.
Insomma, il patrimonio nuragico e, più in generale, quello archeologico, “rappresenta per la Sardegna una risorsa dal potenziale ad oggi inespresso- sottolineano i relatori del Crenos- ma che potrebbe apportare nel futuro indiscutibili benefici economici e sociali, anche in ragione della sua unicità, quantità e capillare distribuzione nel territorio regionale”.

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