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VIDEO | FOTO | L’esperienza della pizzeria ‘Brigata Caterina’ con le pizze preparate dai detenuti nel carcere di Poggioreale. Le storie di Vincenzo e Giovanni

Il corso di formazione organizzato da Gesco prevede il rilascio di un titolo professionale di pizzaiolo riconosciuto dalla Regione Campania

Pubblicato:16-05-2024 20:33
Ultimo aggiornamento:16-05-2024 20:33

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NAPOLI – A Napoli c’è una pizzeria che si chiama Brigata Caterina. Due pizzaioli preparano ogni giorno circa 250 pizze, le classiche margherita e marinara cotte rigorosamente in forno a legna, vendute al costo di 4 euro, e altrettanti rider si occupano delle consegne. La Brigata Caterina si trova all’interno di un carcere, la casa circondariale di Poggioreale, e i quattro dipendenti, selezionati e assunti con contratto, sono dei detenuti, così come i clienti.

L’esperienza della pizzeria Brigata Caterina è una realtà a Napoli già da quattro anni e proprio all’interno di questo laboratorio nell’ottobre dello scorso anno è partita la seconda edizione del corso di formazione lavoro “Pizzeria e Pizzaioli”. Il progetto, promosso dalla casa circondariale con l’Arcidiocesi di Napoli e realizzato dal gruppo di imprese sociali Gesco – in ATI con APL lavoro – grazie a fondi regionali Por Campania (Fse 2014-2020), ha permesso l’attivazione di un percorso di formazione e accompagnamento all’inserimento lavorativo all’interno del carcere destinato a 20 detenuti. Oggi gli allievi sono 16 – in quanto due detenuti sono stati trasferiti in altri penitenziari e altri due sono stati rilasciati – di un’età compresa tra i 27 e i 70 anni.

ALLIEVI DETENUTI COINVOLTI ANCHE IN ATTIVITA’ PARALLELE

Il corso di formazione organizzato da Gesco prevede, al termine delle 600 ore di formazione previste più un percorso di accompagnamento, il rilascio di un titolo professionale di pizzaiolo riconosciuto dalla Regione Campania. “L’iter – ha spiegato alla Dire Rina Ziccardi, di Gesco, coordinatrice del progetto – è partito a giugno dello scorso anno con degli incontri individuali con 50 detenuti aspiranti allievi del corso. La valutazione ha riguardato la volontà di partecipazione, le aspirazioni dei singoli, e anche, in alcuni casi, l’esperienza pregressa. Le lezioni sono iniziate nell’ottobre del 2023 e si concluderanno a luglio“. Lo staff del progetto ha coinvolto gli allievi anche in attività parallele a quelle di cuoco specializzato nel settore della pizzeria, con momenti dedicati alla letteratura e alla filosofia, incontri di food marketing, comunicazione e lingua inglese. “Tra le esperienze più interessanti – ha detto Ziccardi – la lettura di “Spizzichi e bocconi” di Erri De Luca, ma anche una lezione di filosofia incentrata sul mito della caverna, emblematico quando si affronta con le persone il tema della scoperta della propria identità”.


Oggi, inoltre, in occasione della Giornata internazionale delle Famiglie, la casa circondariale ha aperto le porte ai familiari dei corsisti che hanno potuto dare prova delle loro abilità preparando pizze per i propri cari.

LE STORIE DI VINCENZO E GIOVANNI

Vincenzo, 34 anni, tre figli, napoletano, sta scontando la sua pena a Poggioreale. Un lavoro vero non l’ha mai avuto, ma spera, un giorno, di poter trovare un’occupazione stabile e dignitosa, nella sua città, restando accanto alla sua numerosa famiglia. “Che persona sono? Sono una persona che ha sbagliato“. Inizia così il racconto che consegna alla Dire mentre nella casa circondariale si presenta un progetto di formazione lavoro rivolto ai reclusi. Vincenzo è, infatti, uno dei 16 detenuti che sta frequentando un corso per diventare pizzaiolo. Una strada che, in autunno, al termine di un percorso di 600 ore formative, gli permetterà di accedere a un esame finale per conseguire un titolo professionale. “Un lavoro? Non l’ho mai avuto… Ho scoperto che la cucina è una cosa bella – dice Vincenzo -, mai e poi mai nella vita avrei pensato di creare una pizza. Ho scoperto che la cucina, la pizza, in particolare, è come una bella femmina. Ci vuole delicatezza, sennò l’impasto ti abbandona. Ho scoperto che quest’arte, l’arte del pizzaiolo, patrimonio Unesco, è l’arte più bella del mondo”.

“E’ STATO UN PERCORSO DI VITA”

Il progetto “Brigata Caterina – Pizzeria e Pizzaioli” non è si è limitato solo alle tecniche di cucina necessarie per preparare il piatto tipico napoletano più conosciuto al mondo. Gli allievi, infatti, hanno avuto l’opportunità di seguire corsi di lettura, ma anche di filosofia. “Posso dire – spiega Vincenzo – che è stato un corso di vita. Ho potuto conoscere persone diverse, che mi hanno regalato un sorriso anche in una giornata no. E qua di giornate ‘no’ ne passiamo parecchie… Fuori c’è un mondo diverso da come lo concepivo prima, avere la possibilità di abbattere barriere, di ‘evadere’ dalla vita del carcere, è impagabile“. Vincenzo guarda al suo domani e immagina di spendere la sua qualifica professionale intanto durante la detenzione – secondo quanto stabilito nell’articolo 21 della legge sull’ordinamento penitenziario, relativo alle modalità di lavoro per i reclusi – e, magari, anche quando avrà scontato la sua pena: “Spero di poter intraprendere questa strada”.

“FARE ASSAGGIARE LA PIZZA AI MIEI CARI E’ UN’ESPERIENZA INCREDIBILE”

Oggi, nel carcere, in occasione della Giornata internazionale delle Famiglie, Vincenzo e gli altri allievi del corso hanno potuto servire le loro creazioni ai propri cari. Come accaduto a Giovanni, 31 anni, papà di un bambino. “Stare con i miei parenti e fargli assaggiare una piazza è un’esperienza incredibile. Sono emozionato”, racconta. Giovanni, come gli altri, si dice convinto di quanto sia necessario “dare la possibilità a quanti più detenuti è possibile di assaporare dei momenti di libertà. Se oggi ci fossero più progetti di inserimento al lavoro chi ha commesso degli errori, magari dei piccoli errori, potrebbe non farlo più. Magari non ci sarebbe più il sovraffollamento. Qui dentro, a Poggioreale, c’è malessere, c’è solo malumore. Con un percorso come questo ti ricordi che fuori c’è altro, c’è vita“.

“IL CARCERE NON E’ UN MONDO A PARTE, E’ PARTE DEL MONDO”

Per Sergio D’Angelo, presidente di Gesco, “adesso bisognerebbe passare dalle esperienze esemplari, come questa, alle esperienze diffuse. Il carcere va considerato non un mondo a parte, ma parte del mondo stesso, parte della società, se vogliamo evitare che diventi, invece, il cancro di un territorio, e se vogliamo evitare che i detenuti, a conclusione del proprio percorso di pena, escano dal carcere più incattiviti di prima. Quindi, bisogna disporre di spazi adeguati, di programmi che prevedano inserimento lavorativo, opportunità di socializzazione, che preparino il loro rientro nella comunità. Questa va considerata come una esperienza pilota, da moltiplicare tante volte, per tante carceri, per tanti detenuti”.

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