FERRARA – Ferrara prova a riconciliarsi con Michelangelo Antonioni, dopo quasi 30 anni di ‘dibattito’ intorno al progetto del museo dedicato. Dopo la prima apertura dello spazio espositivo in via Ercole I d’Este nel 1995 (l’anno in cui il maestro tornò nella sua città dopo aver ricevuto l’Oscar alla carriera), chiuso nel 2006, è cominciato uno stallo scosso solo dalla mostra a Palazzo dei Diamanti, nel 2013, e dagli slanci su un altro possibile museo a Palazzo Massari, più sul cinema in generale. Adesso, la giunta Fabbri cerca di mantenere le promesse, di questi anni, e annuncia da domani, 1 giugno, l’apertura dello “Spazio Antonioni”. Viene descritto come un “nuovissimo museo” che “propone al grande pubblico e agli appassionati un viaggio nell’universo intellettuale e creativo di uno dei padri della cinematografia moderna”.
Spazio Antonioni, che invita “a riscoprire l’originalità e l’attualità” dell’opera del regista, è un progetto a cura di Dominique Païni, già direttore della Cinémathèque française, ed è stato sviluppato su input di Vittorio Sgarbi e in sinergia con la moglie del maestro, Enrica Fico Antonioni, dal servizio Musei d’arte del Comune e dalla Fondazione Ferrara Arte. Strutturato su due piani ridisegnati, dell’ex padiglione d’arte contemporanea dello stesso Palazzo Massari, lo Spazio Antonioni ospita una selezione del fondo di oggetti e documenti che il regista e la moglie hanno affidato al Comune.
Se l’archivio Antonioni conta oltre 47.000 pezzi, infatti, “l’idea portante- spiegano in amministrazione comunale- è quella di creare un museo vivo, un luogo di formazione e di scoperta, dove esplorare le preziose testimonianze del lavoro di Antonioni e approfondire i molteplici nessi con artisti, registi, intellettuali che l’hanno ispirato o che continuano a trarre nutrimento dal maestro”.
Il percorso museale si sviluppa cronologicamente ripercorrendo le stagioni del cinema di Antonioni, lungo tutto il secondo Novecento: dagli esordi nell’ambito del neorealismo al superamento di questa stagione con i film di cui è protagonista Lucia Bosè, fino alla “trilogia della modernità” legata a Monica Vitti (L’avventura, L’eclisse, La notte), quindi l’avvento del colore ne Il deserto rosso, e poi “la conquista del West” con le pellicole angloamericane testimoni dell’esplosione della cultura pop e hippy – Blow Up e Zabriskie Point -, e l’evasione africana in Professione: reporter, per concludere con “il ritorno in Italia” e le opere che recuperano il legame con le radici.
Un capitolo a parte è riservato alla produzione pittorica del regista e agli spettacolari paesaggi onirici delle Montagne incantate. Infine, un ampio spazio polivalente è dedicato a rassegne, incontri, esposizioni dossier nello spirito del dialogo tra le arti. Il progetto architettonico, firmato dallo studio internazionale Alvisi Kirimoto, in coordinamento con la progettazione esecutiva e direzione dei lavori del Servizio Beni Monumentali del Comune, prevede quindi “un percorso espositivo chiaro, fluido e dinamico che ricorda uno dei piani sequenza” di Antonioni, il suo marchio di fabbrica.
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