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Livolsi: “Dalla scuola alla formazione al lavoro, i giovani siano al centro dell’agenda politica

La formazione scolastica ha ancora molte carenze, mentre i migliori laureati scappano all'estero. E se il Pnrr sta aiutando a diminuire il divario tra Nord e Sud, servono riforme strutturali che cambino davvero le cose: il punto di vista di Ubaldo Livolsi

Pubblicato:26-07-2023 13:03
Ultimo aggiornamento:18-10-2023 17:49
Autore:

Ubaldo Livolsi
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A cura di Angelica Bianco

ROMA – “L’Italia, la seconda potenza manifatturiera dell’Europa, la Nazione delle eccellenze produttive, non può rimanere tale senza il contributo del lavoro svolto dai giovani. La scuola e la formazione hanno in questo senso un ruolo fondamentale”. Così Ubaldo Livolsi, professore di Corporate Finance e fondatore della Livolsi & Partners S.p.A.

I RISULTATI DELLE PROVE INVALSI 2023

“Le prove Invalsi 2023 sono state piuttosto negative- continua- Il rapporto evidenzia difficoltà alle superiori anche per la matematica: solo il 50% alla fine del percorso scolastico ha raggiunto il livello di base. Alle medie si è fermato il calo in italiano e matematica registrato tra il 2019 e il 2021 – gli anni del Covid con i ragazzi che nei periodi più bui non potevano andare in classe – ma non si riscontra un’inversione di tendenza. Nella scuola primaria un bambino su tre non ha la competenza base di matematica. Soprattutto l’Italia è divisa in due a livello di istruzione: mentre i risultati delle regioni del nord sono accettabili, quelli del sud e delle isole appaiono carenti. I dati sull’impiego fanno riflettere. Quelli dell’Istat di marzo, dicono che l’occupazione nel nostro Paese cresce di 22mila unità portando gli occupati a quasi 23 milioni e 500mila. Il numero è superiore di circa 300mila unità rispetto a quello di marzo 2022. Ciò a seguito dell’aumento dei dipendenti permanenti e degli autonomi e a fronte di una diminuzione di quelli a termine. Tuttavia, c’è un grande punto interrogativo: l’unica fascia in cui l’occupazione non cresce è quella dei giovani dai 25 ai 34 anni“.


I GIOVANI LAUREATI CHE SE NE VANNO DALL’ITALIA

“Sempre rifacendosi all’Istat, al suo ultimo e recente rapporto sulle migrazioni- spiega Livolsi- sono circa un milione i nostri connazionali espatriati tra il 2012 e il 2021. Un quarto di questi è laureato. Se incrociamo questi dati con quelli del ministero dell’Università, si scopre che il 5/8% dei nostri giovani migliori lasciano il Paese. Nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni, il saldo migratorio delle persone con un titolo superiore è negativo per circa 79mila unità. Non solo, questa questione va inquadrata nel contesto del divario tra Nord e Sud dell’Italia. Mentre le regioni settentrionali riescono a compensare le uscite con l’attrazione di giovani provenienti dal mezzogiorno, il sud si ferma alla perdita secca di talenti. Il che crea un’altra spaccatura – come nel caso della prova Invalsi – una situazione insostenibile, che fa male a tutto il Paese. Qualcosa si sta muovendo. Il Pnrr ha permesso un aumento del 10% di ricercatori, con l’assunzione di 4mila nuovi professionisti. Sono state stanziate risorse finanziarie per oltre 18.000 borse di dottorato per il biennio 2023-24. L’obiettivo è di rispondere al fabbisogno di imprese di professionalità altamente qualificate e specializzate. Non solo, per combattere la fuga dei cervelli, è stata stabilito l’aumento dei compensi dei ricercatori fino al 30% se decidono di investire in Italia i finanziamenti ricevuti per progetti di ricerca“.

IL ‘POSTO FISSO’ NON È PIÙ LA PRIORITÀ COME UNA VOLTA

I giovani sono disposti a mettersi in gioco– scrive ancora Livolsi- Non hanno recriminazioni verso la generazione dei loro padri che hanno occupato i posti di lavoro e hanno lasciato debiti. Significativa in questo senso è una recente ricerca ‘Giovani e lavoro’, realizzata dal Centro Studi Assolombarda ed Eumetra su un campione di 10.00 ragazzi tra i 19 e i 26 anni delle Provincie di Milano, Monza, Pavia e Lodi. I giovani manifestano una scarsa fiducia nel cosiddetto Sistema Italia, ma affermano anche di non volere in modo assoluto il posto fisso e di essere alla ricerca di una professione che consenta loro di conciliare il lavoro con la famiglia e il tempo libero. A ciò corrisponde anche l’intenzione di diventare imprenditori o liberi professionisti, espressa dal 57% degli intervistati, contro il 28% che rimane ancorato all’idea del lavoro dipendente”.

LA SPECIALIZZAZIONE TECNOLOGICA

“Una delle riforme degli ultimi anni più importante è stata l’istituzione degli Its-Istituti Tecnici Superiori- prosegue l’analisi- Questi corsi di formazione altamente professionalizzanti, ad alto contenuto tecnologico e innovativo, sono resi possibili dalla sinergia tra scuole superiori, università e imprese e formano figure professionali dotate di un’alta specializzazione tecnologica in grado di consentire un inserimento qualificato nel mondo del lavoro. Essenziale è il contributo delle imprese: la strada è questa perché sono loro che creano lavoro. La riforma che mette al centro la scuola, le università, le imprese, i sindacati e le istituzioni sul territorio per avere successo deve essere inserita in un quadro di riforma e rivoluzione complessiva del Paese. L’Italia necessita di riforme strutturali da realizzare anche con modifiche costituzionali. Deve liberarsi del sistema dei privilegi e delle lobby da cui è frenata. L’obiettivo è dare un futuro ai nostri giovani in Italia. Così potremo anche riavvicinare i cittadini alla politica e al voto. Possiamo contare su imprenditori eccellenti e su un patrimonio finanziario privato notevole, che può essere investito anche nelle imprese. Ma per fare questo serve fiducia, anche per attrarre investimenti stranieri e nel contesto dell’Ue”.
“È essenziale predisporre un piano di medio periodo, che preveda investimenti in infrastrutture sostenibili, consegua una severa spending review e compia riforme improcrastinabili, a partire da quelle dell’istruzione, della giustizia e del fisco equo, che crei le condizioni per lo sviluppo” conclude Livolsi.

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