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Boom Pertosse, perché e cosa fare. Sip: “Il vaccino non dura per sempre”

In un anno, in Europa, I contagi sono aumentati di 10 volte. La pediatra: "La frequenza è alta perché adolescenti e adulti non fanno richiami"

Pubblicato:20-06-2024 18:05
Ultimo aggiornamento:20-06-2024 18:05

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ROMA – A uccidere il baby calciatore di Chivasso, Andrea Vincenzi, 12 anni, lo scorso febbraio è stato il batterio della Pertosse, che gli avrebbe causato una “insufficienza respiratoria”. Al momento sono in corso le indagini, ma questa malattia infettiva molto contagiosa sta allertando i pediatri sulla scarsa copertura vaccinale in età adolescenziale. “La vaccinazione contro la Pertosse non dà un’immunità permanente, perché dura dai 3 ai 5 anni a seconda dell’individuo”, chiarisce alla Dire Susanna Esposito, direttrice della Clinica Pediatrica e docente presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, nonché responsabile del tavolo tecnico malattie infettive e vaccinazioni della Società italiana di pediatria (Sip). “I richiami vengono fatti perché in adolescenza c’è una grossa perdita della risposta immunitaria- spiega- la pertosse sta circolando con questa elevata frequenza proprio perché sono pochi i richiami fatti tra gli adolescenti e gli adulti”.

“COPERTURA DEL 90% LONTANA, FARE RICHIAMI DEL VACCINO A TUTTE LE ETÀ”

Nel 1999 la specialista ha effettuato uno dei primi studi al mondo che ha dimostrato sia la pertosse come malattia, che la necessità di ripetere periodicamente i richiami per avere l’immunità. Ormai l’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) ha lanciato l’allarme: quasi 60 mila casi di pertosse in tutta Europa nel corso del 2023 e sino ad aprile 2024, registrando un incremento di oltre 10 volte rispetto agli anni 2022 e al 2021. Da gennaio si sono verificati tre decessi, con un aumento dell’800% dei ricoveri rispetto allo scorso anno. Da qui l‘urgenza di fare i richiami del vaccino trivalente contro Difterite-Tetano-Pertosse (dTpa) a tutte le età: in tenerissima età, in adolescenza tra gli 11 e i 18 anni, poi ogni 10 anni e nelle donne in gravidanza a partire dalla 20esima settimana di gestazione. “Il target delle coperture vaccinali per la pertosse in Italia deve essere superiore al 90%– puntualizza Esposito- ma nel nostro Paese le coperture vaccinali non sono alte, anche per i richiami. Quindi, il batterio continua a circolare. Le forme più gravi riguardano i bambini piccolissimi, mentre nei soggetti di altre fasce di età le manifestazioni gravi in genere sono più contenute, però non possono essere esclusi esiti negativi”.

LE REGOLE DA SEGUIRE PER EVITARE LA DIFFUSIONE

Nel 2015 Esposito ha condotto uno studio “su centinaia di ragazzi dai 7 ai 17 anni che avevano una tosse cronica (quella che dura da almeno 3 settimane). Sono risultati nel 18% dei casi positivi alla pertosse, e questo dimostra che anche soggetti che continuano la loro vita normalmente possono essere positivi e diffondere il batterio nella comunità con rischi altissimi”. Ci sono, delle regole da seguire: “La tosse cronica che dura più di tre settimane richiede degli accertamenti; il richiamo della vaccinazione da difterite, tetano e pertosse va fatto ogni 10 anni per tutta la vita, ma questo non avviene quasi mai. Inoltre, le donne in gravidanza devono farlo, ma anche in questo caso la copertura delle donne incinta nel nostro Paese è inferiore del 20%”, fa sapere Esposito.


Come è avvenuto nel post Covid, stiamo assistendo ad “una immunità scoperta della popolazione e abbiamo molti soggetti vergini all’agente infettivo della Pertosse. Adesso- continua la studiosa- si stanno recuperando le coperture vaccinali nei bambini durante i primi anni di vita, che sono tornate buone, ma tra gli adolescenti assistiamo a un calo importante delle coperture vaccinali. Inoltre, gli adulti non si vaccinano e sono suscettibili al contagio soprattutto gli anziani. Ricordo che negli adolescenti il richiamo di questa vaccinazione trivalente comprende anche la polio”. Per Esposito il messaggio fondamentale da far arrivare a tutta la popolazione è che i richiami della vaccinazione vanno fatti “per tutta la vita”.

TUTTA COLPA DI UN BATTERIO, COME RICONOSCERLO

Ma cos’è il batterio della Pertosse: “È una malattia infettiva di origine batterica molto contagiosa, causata dal batterio Bordetella pertussis. La pertosse- si legge nel sito di Epicentro dell’Iss– viene annoverata fra le malattie infantili, come la rosolia, il morbillo, la varicella e la parotite, e colpisce prevalentemente bambini sotto i 5 anni. Causa infezioni alle vie respiratorie che possono essere inapparenti, ma anche estremamente gravi, specie quando il paziente è un neonato”. Come riconosciamo il batterio della Pertosse? “La pertosse si caratterizza per una tosse persistente (per più di tre settimane). L’esordio della malattia si manifesta con una tosse lieve, accompagnata da qualche linea di febbre e copiose secrezioni nasali: è la fase catarrale, che dura da 1 a 2 settimane. Progressivamente la tosse diventa parossistica e si associa a difficoltà respiratorie: è la fase convulsiva o parossistica, che può durare più di 2 mesi in assenza di trattamento. In seguito a parossismi, si possono verificare anche casi di apnea, cianosi e vomito”. Nei bambini piccoli, “le complicazioni più gravi sono costituite da sovrainfezioni batteriche– spiega Epicentro- che possono portare a otiti, polmonite, bronchiti o addirittura affezioni neurologiche (crisi convulsive, encefaliti). I colpi di tosse possono anche provocare delle emorragie sottocongiuntivali e nel naso. Nel neonato e nei bambini al di sotto di 1 anno, la pertosse può essere molto grave, addirittura mortale”. La conferma della diagnosi si ha “principalmente isolando il batterio responsabile, a partire da un’aspirazione nasofaringea”.
Il periodo di incubazione è di circa 10 giorni. “La pertosse è altamente contagiosa, soprattutto nel periodo iniziale, prima dell’insorgenza della tosse parossistica. Dopo tre settimane dall’inizio della fase parossistica, nei pazienti non trattati il contagio si considera trascurabile. Invece nei pazienti trattati con antibiotici il periodo di infettività è ridotto a circa 5 giorni dall’inizio della terapia”.

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