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Dalle europee agli Europei: così il calcio abbatte il “muro invisibile” dei nazionalismi

La Germania mai unita, la Francia di Le Pen: le analisi della stampa straniera sul messaggio politico del torneo che comincia stasera

Pubblicato:14-06-2024 12:52
Ultimo aggiornamento:14-06-2024 22:44

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ROMA – Gli Europei dopo le Europee. Un calcio alla politica: mai come questa volta il pallone rotola sui bordi, i confini, e rimbalza su una crisi strutturale del continente. Il calcio, lo sport più popolare, con il suo messaggio unitario, in netta controtendenza alla contrazione dei nazionalismi, espressa pochi giorni nelle elezioni per la formazione del Parlamento europeo. E’ una lettura trasversale, che va più a fondo della semplice competizione agonistica, a cui si sono dedicati alcuni dei principali quotidiani europei. Solo oggi, ad esempio, ne scrive il Guardian, ma anche gli spagnoli El Mundo e El Paìs, con due pezzi firmati da Abraham P. Romero e Fernando Aramburu (lo scrittore di “Patria”).

Il calcio ha i suoi standard, non sempre puntati nella giusta direzione, ma con gli Europei tedeschi rappresenta disperatamente il minacciato sogno europeo. E’ un percorso lunghissimo, anticipato dal calcio a partire dalla sentenza Bosman di quasi 30 anni fa. E nella sua geografia etnica ha di fatto mostrato che i confini, le patrie, sono un concetto friabilissimo.

La Germania aveva organizzato i Mondiali del 2006 (quelli che incoronarono l’Italia e “il cielo azzurro di Berlino”). “Il pallone nel frattempo è servito a spiegare la divisione e l’unione del popolo tedesco“, scrive El Mundo. “La sua rosa dei convocati della Germania sintetizza il problema nazionale: solo 3 dei 26 calciatori sono nati nella parte orientale: Kroos (Greifswald), Beier (Brandeburgo) e Andrich (Postdam). Uno studio riportato dalla Reuters afferma che il 57% dei tedeschi che vivono nell’Est si sentono cittadini di seconda classe e solo il 38% ritiene che la riunificazione sia stata un successo. Dieci città ospitano il torneo e solo una, Lipsia, è a est. Berlino ospita la finale, ma lo Stadio Olimpico è situato nella vecchia zona Ovest”.


Questo sentimento di abbandono intestino è uno dei motivi, dicono gli analisti, del trionfo dell’estrema destra nella Germania dell’Est: AfD ha ottenuto il 28% dei voti nelle regioni più importanti dell’Est, mentre nell’intero Paese è rimasto al 15%.

Il calcio è un termometro della società. Il Mondiale del 2006, come nel 1974 e nel 1988 o i Giochi di Monaco del 1972 furono un grande successo diplomatico. Hanno unito i popoli, ma in una sola direzione, verso l’Occidente. El Mundo lo chiama “il Muro invisibile”.

Altro esempio: la Francia. Quando vinse il Mondiale nel 1998, Jean Marie le Pen, il fondatore del Fronte Nazionale, si vergognava della squadra guidata da Zinedine Zidane a causa della presenza maggioritaria di giocatori di origine magrebina e sub-sahariana. Il profilo multirazziale della nazionale francese non è cambiato, il leader è Mbappé, padre camerunese e madre algerina. Nel frattempo però sua figlia Marine Le Pen ha portato a casa una storica vittoria alle elezioni europee. Però Marine a differenza del padre ha capito che “è meglio stare dalla parte del calcio”.

Aramburu, che vive in Germania, nota che “il contrasto è notevole. Nel 2006 la Germania organizzò i Mondiali di calcio in un’atmosfera di gioia collettiva, in tempi di prosperità economica e di elevata autostima nazionale”. La crisi finanziaria internazionale del 2008 era lontana. “Il panorama è cambiato in senso negativo. In Germania mai prima d’ora avevo percepito così chiaramente una sorta di malinconia generalizzata, dalla quale non è immune nemmeno l’Europeo che inizia oggi a Monaco. Il torneo è sì nelle pagine sportive e nei tg, ma non nelle strade come in quella colorata estate del 2006. Le ragioni di questa disaffezione sono molteplici e risalgono a qualche anno fa, aggravate dalla situazione economica e dalla la situazione sociopolitica nazionale ed europea”.

Aramburu scrive che “il mito tedesco del paese dei poeti e dei filosofi (Dichter und Denker), della nazione disciplinata che funziona come un orologio, operosa, innovativa, affidabile, conosciuta e ammirata per lo spirito organizzativo, il lavoro metodico e la puntualità, trova oggi soprattutto posto nel giudizio di chi non conosce il suo stato attuale”. Ma “il problema della Germania è il problema dell’Europa e può essere chiamato con nomi diversi. Ad esempio, decadimento”.

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