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Sveva rivuole suo figlio, in casa famiglia con la ‘scusa’ di un’audizione

Speciale 'mamme coraggio'

Pubblicato:10-06-2020 08:37
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:28
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ROMA – Sveva (nome di fantasia) risponde al telefono con un filo di voce. Le manca suo figlio. Le è stato portato via dentro a un Tribunale “il 24 marzo scorso, ci era stato detto che la giudice doveva ascoltarlo”. Lei è andata, portando il bambino. Poi in una stanzetta la verità. “Una catastrofe umana e professionale, un comportamento disumano per il quale abbiamo depositato un esposto al Consiglio superiore della Magistratura” annuncia all’agenzia Dire l’avvocata di questa mamma, Donatella Bussolati, del Foro di Milano, esperta di diritto minorile e di famiglia e mediatrice familiare che dice di avere “tante, tantissime storie di donne” che hanno perso i figli.

LA STORIA DI SVEVA

Sveva alla Dire racconta di esser stata lei a chiedere aiuto, quando suo figlio aveva 5 anni: “Nel 2017 sono andata al Pronto Soccorso di Bolzano, avevo chiesto di parlare con uno psicologo”. Viene ricoverata per “uno scompenso psicologico“. E’ una mamma single, il padre biologico del bimbo è morto, e quel giorno chiede subito a un amico di andare a prendere il bambino all’asilo, ma il bambino già non c’era più. “Era stato portato via dagli assistenti sociali poche ore dopo il mio internamento ospedaliero e- racconta ancora- un poliziotto in borghese mi chiese di firmare la ricevuta del decreto del Tribunale del minori. Il decreto riportava- come spiega nel corso dell’intervista alla Dire- che ‘si presumeva la madre potesse fare del male a se stessa e al bambino, che in via precauzionale veniva collocato in apposita struttura’”.


Sveva ha un’invalidità al 75% per una depressione cronica diagnosticata anni prima, per cui viene seguita con apposita terapia. “Non ci sono mai stati episodi a rischio per il bambino. Quando finalmente lo vedo per mezz’ora- prosegue- alla fine del mio ricovero, mio figlio è spaventato dalla separazione, piange, piango anche io. Il bimbo chiede di tornare a casa con me. C’è un procedimento penale in corso per abuso su minore e violenza, e mi viene detto che finché non sarà chiuso non potrò riavere mio figlio”. “Chiuso- ribadisce Sveva (che peraltro non è madrelingua italiana)- Mi viene detto quando sarà ‘chiuso’, non mi viene detto che dipende dall’esito, e un avvocato d’ufficio, che mi viene assegnato, mi consiglia il patteggiamento. Vengo condannata a 1 anno e dieci mesi per ‘maltrattamenti’. E’ troppo tardi per capire che ho sbagliato a fidarmi e che avrei dovuto difendermi”. Nella storia di Sveva sono i servizi sociali ad esserle accanto, a seguirla passo passo con il preciso scopo di ricongiungerla a suo figlio. “Grazie all’assistente sociale D.C.- tiene a sottolineare- le visite a mio figlio, in ambiente protetto, si estendono a due ore ogni 10 giorni”. Sveva si è sottoposta a controlli medici, alla verifica ematica degli psicofarmaci assunti e sempre grazie ai servizi sociali ha il diritto di avere “suo figlio a casa con sé due ore a settimana” e poi “ogni sabato con rientro entro le 18”.

Sveva racconta lo strazio di ogni volta, il bambino che vuole rimanere con lei, che non vuole tornare in casa famiglia. Si arriva così a quel 24 marzo in cui Sveva e suo figlio vengono separati senza che siano informati di nulla. “I servizi sociali di Bolzano- ha spiegato l’avvocata di Sveva- hanno lavorato molto bene nel dare fiducia a questa mamma, nel costruire un percorso di riavvicinamento del minore anche accettando weekend in vista di un rientro”. Ma cosa succede a marzo? Scoppia l’allerta Covid. “Il bambino- riferisce l’avvocata- mentre è in un fine settimana dalla mamma ha la febbre. L’educatrice domiciliare è dovuta andar via secondo le linee guida della comunità. Faccio istanza urgente presso il magistrato affinché il piccolo resti con sua mamma, non avevo certificati medici da allegare perché nessuno lo ha visitato, ma era seguito a distanza” come per tutti i casi sospetti in quel periodo. Sono i giorni della pandemia, la febbre richiede una serie di misure precauzionali. “Sveva- prosegue il racconto Donatella Bissolati- riceve una telefonata dalla giudice, viene convocata per un’audizione del bambino. Così le viene detto. La signora accetta con fiducia, è collaborativa e invece le portano via il figlio, senza nemmeno interloquire con i servizi sociali e viene portato in comunità, dove peraltro il piccolo sarà sottoposto alla quarantena e messo in isolamento. Il 17 giugno chiederemo la revoca di questo provvedimento, anche perché il mandato ai servizi sociali ha dato ottimi risultati e chiediamo che sia chiaro l’obiettivo del rientro a casa del piccolo”.

Da allora le visite proseguono nello spazio protetto. Una mamma che chiede aiuto, che non nasconde la sua patologia, che si sottopone alla terapia con i controlli del caso, i servizi sociali che le sono accanto, un bambino che chiede, a ormai sette anni, di voler tornare a casa con sua madre, di non voler stare in casa famiglia. Sveva vive della sua pensione d’invalidità, da quando le è stato portato via suo figlio riempie le giornate facendo volontariato, scrive da sempre storie in cui usa pseudonomi per parlare di sé. Aveva passato l’esame di ammissione per entrare alla facoltà di Psicologia a Sarajevo, ha raccontato. Poi arrivò la guerra a fermare tutto. E per Sveva sarebbe stata solo la prima e non la peggiore di tutta la sua vita. (Nelle foto allegate, concesse dalla signora Sveva, un messaggio per la mamma con i cuori, disegnato e scritto da suo figlio dopo il prelievo del 24 marzo; la rappresentazione dell’udienza in Tribunale e infine una foto che li ritrae abbracciati).

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