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Il ‘richiamo’ di Livolsi: “Dopo europee il governo torni ad affrontare la dura realtà”

Inizia con questo richiamo la riflessione di Ubaldo Livolsi, professore di Corporate Finance e fondatore della Livolsi & Partners S.p.A

Pubblicato:05-06-2024 10:28
Ultimo aggiornamento:05-06-2024 10:28
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ROMA – “Le discussioni, soprattutto interne alla maggioranza, in vista delle elezioni Europee che si terranno i sabato e domenica (8 e 9 giugno), sono la prova che la politica italiana non guarda, come si dovrebbe, agli obiettivi di lungo termine, ma alla contingenza: dalla dilatazione, voluta dal ministro del Mef Giancarlo Giorgetti, da quattro a dieci degli anni in cui spalmare le detrazioni del Superbonus 110, al redditometro proposto dal viceministro Maurizio Leo, poi ritirato dalla premier Giorgia Meloni, al decreto ‘Salva-casa’ del vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini. Il Governo, qualunque sia l’esito del voto europeo, dovrà tornare alla dura realtà”.

Inizia con questo richiamo la riflessione di Ubaldo Livolsi, professore di Corporate Finance e fondatore della Livolsi & Partners S.p.A., nel nuovo appuntamento della sua rubrica con l’agenzia Dire, curata da Angelica Bianco.

“Dopo l’uscita dal Covid- spiega- il Pil crebbe del 6% nel 2021 e del 4% nel 2022 a causa del cosiddetto effetto rimbalzo, che si è concluso nel 2023. L’anno in corso deve fare i conti con numeri ridotti: il Pil aumenterà dell’1% per il Governo, dello 0,9% per la Commissione europea e dello 0,7% per l’Fmi. Finito l’effetto Superbonus 110 (definito dalla premier Meloni ‘la più grande truffa della storia ai danni dello Stato’), il segno + del Pil del nostro Paese sarà dovuto in gran parte ai miliardi del Pnrr.


Quest’ultimo, voglio dirlo chiaramente, non potrà che far bene all’Italia proprio perché destinato a investimenti che mirano a fare riforme strutturali e non a vantaggio di categorie che rappresentano interessi particolari. Si guardi, per esempio, agli effetti positivi che si sono già avuti nella riduzione dei tempi della giustizia.

Un buon intervento immediato potrebbe essere l’azione in un ambito non direttamente coinvolto nel Pnrr, ma funzionale e sistemico agli obiettivi che si è dato il Governo Meloni: i salari. È evidente che l’incremento dell’economia dipende in gran parte dai consumi delle famiglie: se i lavoratori non guadagnano abbastanza per spendere, l’economia si ferma.

La situazione delle retribuzioni in Italia è insostenibile. Il livello degli stipendi nelle imprese italiane è inferiore del 10% rispetto a quello della Francia e al 20% della Germania”.

“Bisogna disconoscere un ricorrente equivoco- aggiunge poi Livolsi- I salari non dipendono solamente dalla tassazione sul lavoro – quelle in Francia e in Germania sono simili a quella italiana – ma dalla disponibilità di lavori di alto profilo, quelli legati a soluzioni come l’intelligenza artificiale, la robotica, la realtà aumentata, i dispositivi tecnologici. Per questo è fondamentale sottolineare l’importanza delle materie cosiddette Steam (Science, Technology, Engineering, Art and Mathematics).

È anche necessario agire ancora di più, come da tempo sostengo dalle colonne di questa testata, sulla grande ricchezza rappresentata dagli oltre 5.200 miliardi di euro di risparmi posseduti dagli italiani, che dovrebbero essere utilizzati per creare sviluppo. Non è solo una questione di educazione finanziaria, pur decisiva e dirimente, che anzi andrebbe potenziata inserendola nei piani di studio delle scuole, è essenziale mettere a disposizione da un lato strumenti di fiscalità, come gli incentivi alla quotazione, dall’altro prodotti d’investimento che colleghino il risparmio alle imprese – e in questo senso il Ddl Capitali rappresenta una svolta significativa.

La responsabilità la devono assumere anche banche, compagnie assicurative, casse di previdenza e fondi pensione, che dovrebbe entrare nel capitale di rischio delle aziende e in grandi progetti. Nel Regno Unito è stato recentemente votato un provvedimento legislativo che obbliga i fondi pensione a investire il 5% del portafoglio nel capitale di rischio delle aziende britanniche”.

“Anche grazie a questa serie di interventi – insieme ad altri più specifici – si ridurrà il ritardo ‘dimensionale’ delle aziende italiane: il che, per ricollegarmi a quanto sostenevo sopra, significa maggiore richiesta di quei lavori di qualità che sono sinonimo di salari più alti. Basti solo ricordare- conclude- che tra le prime 500 aziende del mondo per fatturato, solo sei sono italiane, rispetto alle 27 tedesche e alle 26 francesi, per non dire della metà tra statunitensi e cinesi”.

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