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VIDEO | Aggressione di Torpignattara, Ahmad Ejaz: “È un segnale di razzismo che arriva dall’alto”

Intervista al giornalista italo-pakistano: "I bambini non badano al colore della pelle"

Pubblicato:03-07-2024 21:15
Ultimo aggiornamento:03-07-2024 21:15

aggressione torpignattara
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ROMA – “Torpignattara non è solo un quartiere multietnico, ma anche un laboratorio di integrazione. Lavoro nella scuola ‘Carlo Pisacane‘ da anni come mediatore culturale e conosco molto bene il quartiere. Il fatto accaduto due giorni fa è molto grave, è il segnale di un razzismo che arriva dall’alto: se noi diamo notizie a valanga sul fatto di inviare migranti e richiedenti asilo (intercettati nel Mar Mediterraneo) in Albania, un cittadino normale pensa che gli immigrati siano una malattia, qualcosa di negativo”. Così il giornalista e mediatore interculturale italo-pakistano, Ahmad Ejaz, intervistato dalla Dire in merito all’aggressione razzista avvenuta domenica sera nei pressi del parco ‘Giordano Sangalli’ a Torpignattara.

“Eppure l’Italia è un Paese multietnico- ha proseguito il giornalista- e non c’è posto per questo razzismo strisciante. Solo per fare un esempio: molti italiani questa mattina avranno bevuto il caffè (parola araba) e avranno posato la tazzina sul tavolo (altra parola araba). Spero che la società civile, insieme ai cittadini di Torpignattara, ribadiscano che l’odio è una brutta cosa. Non dobbiamo avere paura della diversità perché è una ricchezza e crea una società dinamica. I populismi, al contrario, stanno portando il mondo verso la monocultura e questo sarà un grande disastro”.

Bambini e razzismo: cosa ci può raccontare dalla sua lunga esperienza nelle scuole? “I bambini non badano al colore della pelle, alla religione o all’aspetto fisico– ha risposto Ejaz alla Dire- Racconto un breve episodio, che mi è capitato qualche anno fa in una quarta elementare di una scuola a Zagarolo: seduti allo stesso banco c’erano Mario, un bimbo italiano, e Leonard, un bimbo di origine congolese. Ho chiesto al primo come trovasse me e come invece il suo amichetto: Mario mi rispose che io ero ‘scuro’, mentre Leonard ‘normale’. Questo è il mondo meraviglioso dei bambini, che tra di loro non vedono le diversità e convivono in armonia”.


La ‘Pisacane’, ormai da anni, è la scuola simbolo dell’integrazione. Lo slogan, come ricordato anche dal giornalista, è ‘Scuola internazionale: tutto il mondo in una scuola, una scuola aperta al mondo’. “La nostra intenzione come mediatori culturali- ha detto Ejaz- è convertire sempre di più questo multiculturalismo nella società multietnica di Torpignattara”.

I cittadini del quartiere, intanto, dopo l’aggressione nel parco di Viale dell’Acquedotto Alessandrino, hanno chiesto un maggior coinvolgimento delle forze dell’ordine per scongiurare altri episodi simili. È la soluzione o serve fare un lavoro più profondo, a partire proprio dalle scuole? “Per me quello che è importante è il dialogo con i cittadini autoctoni e soprattutto con le comunità immigrate- ha risposto il giornalista- bisognerebbe, per esempio, che i primi visitassero le moschee e i secondi le chiese. Gli uni devono interagire con gli altri per costruire una società più coesa”. Molti negozi di bengalesi “vendono prodotti per gli italiani, questa è una caratteristica, così come molti bambini che incontro nelle scuole parlano addirittura il ‘romanaccio’ e non in italiano. La società, insomma, va avanti e i razzisti normalmente sono in minoranza. Ma quando episodi come quello di Torpignattara avvengono, deve intervenire tutta la società, non solo la polizia”.

Infine, proprio in merito alla gestione di attività commerciali gestite da cittadini per lo più provenienti dal Bangladesh, un’ultima domanda: perché a lavorare non sono anche le donne? “Dipende dalla comunità, per esempio la nostra rispecchia quella degli italiani 80 anni fa- ha risposto ancora il giornalista italo-pakistano alla Dire- per cui prima partivano i maschi, poi arrivavano le famiglie. Lo stesso vale per le persone provenienti dal sub-continente indiano. È una questione di tempo”. In Inghilterra “siamo già alla nostra quarta o quinta generazione e centinaia di donne oggi lavorano anche come dirigenti nei partiti politici ma non solo. In Italia siamo ancora alla prima generazione ed esiste questa problematica, che va affrontata anche dalle istituzioni. Sicuramente i maschi hanno paura dell’emancipazione delle donne perché provengono da una società chiusa, dove le donne non lavorano. Il processo è lungo, ma fattibile”, ha concluso Ejaz.

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